Con oltre 100 suoi capolavori, Palazzo Reale celebra uno degli artisti più complessi e più amati del secolo scorso.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del nuovo secolo, l’arte mette in scena, con maggiore o minore
consapevolezza, la colpa, il desiderio e la paura, disocculta le emozioni scure che insidiano la rispettabilità borghese, ostenta l’erotismo come malattia dell’anima.
Munch, con Freud, Nietzsche, Ibsen e Strindeberg e, poi, con la cerchia di letterati che frequenta a Berlino, ne è protagonista a tutto tondo.
Egli fa parte della “bohème” di Christiania, come allora si chiamava Oslo, un gruppo di giovani poeti ed artisti norvegesi pronti ad andare contro ogni convenzione, facendosi beffe dei “buoni sentimenti”e perciò mal tollerato da una borghesia puritana e da un protestantesimo settario; ed ha sostituito con la sua pittura la ricerca della verità oggettiva con l’implosione della soggettività. Nei suoi quadri non farà altro che “scrivere” e “riscrivere” la sua vita: un’autobiografia dell’anima per immagini, imprudente nell’intensità, provocante nei mezzi.
In definitiva, Edvard Munch, tra i pittori, è colui che più di ogni altro ha saputo dare un volto alla psiche moderna.